
Viviamo in una società che misura il valore delle cose in base alla loro utilità immediata. Se qualcosa non genera un guadagno visibile, se non è produttivo nel senso più concreto del termine, viene spesso relegato in secondo piano. L’arte, la scrittura, la musica, i mestieri creativi e contemplativi: tutto ciò che non si può afferrare con la logica viene considerato, nella migliore delle ipotesi, un lusso. Nella peggiore, una perdita di tempo.
Eppure, se ci fermiamo un attimo, è facile accorgerci di quanto sia falsa questa idea.
L’arte non costruisce ponti né guarisce malattie, è vero. Ma solleva il cuore, consola, accompagna. Ci fa sentire visti, compresi, ispirati. L’arte non aggiusta le cose, ma ci rende capaci di attraversarle. In un mondo sempre più frenetico e disconnesso, la bellezza è una forma di servizio invisibile, ma profondamente necessario.
Creare non è solo un gesto personale: è un atto di dono. Quando un artista dipinge, scrive, scolpisce, suona, lo fa con un’intenzione che va ben oltre se stesso. Sta offrendo uno spazio in cui altri possano ritrovarsi. Sta ricordando che c’è ancora spazio per l’anima, anche se non si vede.
Non tutti possono fare questo. Non tutti riescono a restare fedeli a una voce interiore che non garantisce risultati rapidi né riconoscimenti sicuri. Eppure, proprio lì risiede un valore profondo: nell’atto silenzioso di chi continua a creare anche quando nessuno guarda. Di chi non si chiede “serve?”, ma “è vero per me?”.
In un mondo che ha bisogno di cura, profondità, bellezza e ascolto, l’arte è tutto fuorché inutile.
È una forma di servizio. Forse la più sottile e luminosa che ci sia.
Onora ciò che fai, anche se sembra piccolo. Anche se pochi lo capiscono.
Perché quando crei, stai servendo. E quando servi in questo modo, stai cambiando il mondo — un cuore alla volta.
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